È una guerra persa, ed è inutile che io continui pateticamente a combattere.
Quando m’imbatto in qualcuno che strombazza il dovere di essere orgogliosi dell’itaGlianità, preferisco esimermi da giudizi che sarebbero impietosi. Se si vuole essere obiettivi, l’ItaGlia esiste solo quando si sventola il tricolore allo stadio fischiando l’inno nazionale dei biechi rivali.
Comunque sia, domenica scorsa l’ItaGlia che raglia è stata il palcoscenico dedicato alla celebrazione della democrazia: tutti alle urne per decidere che fare di cinque leggi.
Tutti? Beh, non proprio: più o meno otto itaGliani su dieci hanno preferito dedicarsi ad altro, senza perdere tempo a rispondere a domande di cui, probabilmente, non avevano capito niente. Ma tempo ne avrebbero perduto poco, perché i seggi erano semideserti. Per quanto riguarda mia moglie e me, noi siamo entrati direttamente senza un solo secondo di attesa.
Forse ad attendere sono stati quei siciliani che non hanno trovato il proprio seggio. Sì, perché più d’uno tra presidenti e scrutatori ha preferito disertare, e, dunque, ad accogliere i pur pochi elettori non c’era un’anima. Sul perché di queste assenze inaspettate non c’è chiarezza. Qualcuno dice che il compenso per il loro “disturbo” sia stato giudicato troppo esiguo. Ma, a questo punto, ci si potrebbe domandare perché mai quelli abbiano avanzato spontaneamente richiesta di assumersi quell’impegno. Altri dicono che il sole e il mare erano troppo invitanti. Altri ancora avanzano l’ipotesi che fosse impossibile non affollare lo stadio per assistere all’impresa memorabile della squadra di calcio locale chiamata a spezzare le reni ai nemici patavini per accedere alla serie B. Qualcuno fa riferimento alla cultura, all’intelligenza e alla moralità dei personaggi. Tutte illazioni senza fondamento. Insomma, di quelle assenze di fatto restate ingiustificate non abbiamo ricevuto ragione, ma, in fondo, che c’importa? Almeno in questo siamo vaccinati, e il vaccino ha funzionato. Quei personaggi si sono presi gioco non solo di uno stato inaggettivabile, ma di un popolo, e nessuno di loro pagherà per quanto merita.
Sul referendum quintuplo c’è poco da dire: poco meno di mezzo miliardo di Euro gettato alle ortiche a carico di un popolo che fatica sempre di più ad arrivare, come si suol dire, a fine mese.
E insieme con il referendum, in diversi comuni si è votato per le elezioni amministrative.
Da quanto leggo, viene riportato unanimemente il “crollo” dei grillini. E qui io non sono d’accordo. In un paese dove esiste ancora una briciola di cultura e di obiettività, un partito del genere non avrebbe dovuto riceve altri voti se non quelli dei candidati stessi. Invece, oltre a loro, c’è chi ha messo la croce su quello schieramento. Forse si è pensato di premiare il loro sforzo disperato di sopravvivenza a dispetto di un passato opinabile e di un presente strappalacrime. Il presentarsi qui in alleanza con certi partiti (es. il PD) e contro in altre realtà territoriali (es. Piacenza) rappresenta il rantolo di chi sta annaspando nella speranza che un sorso d’aria arrivi ai polmoni. Impossibile non provare pietà per chi si rende conto che prima o poi dovrà cercarsi un lavoro, magari ritrovandosi nelle sabbie mobili che il loro stesso partito ha contribuito a creare.
Senza esprimere giudizi su quegli elettori, posso solo annotare che quella, seppur stentata, sopravvivenza è un successo straordinario.
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