E adesso?
Adesso abbiamo visto il crucco Sinner, che parla in (quasi) italiano, e pensa in (quasi) tedesco, vincere (quasi) da solo la Coppa Davis, un trofeo assente nell’italica bacheca da quasi mezzo secolo, dopo che fu conquistata in tempi remoti, nel 1976, nel Cile di Pinochet, a dispetto dell’allora PC, bis-trisavolo del partito illuminato oggi dalla multimilionaria statunitense naturalizzata elvetica cui tanto dobbiamo.
Chi non si è voluto perdere lo spettacolo ha visto lo “straniero” Jannik prendere a pallate colleghi che dominano le scene mondiali, e questo con addosso, stando alla Gazzetta illegittimamente, la maglia azzurra su cui spiccava il bestemmiato tricolore. Lo ha visto lottare su ogni palla per una squadra “non sua”, reggendo e vincendo, con pochi minuti d’intervallo tra l’una e l’altra, due partite contro chi primeggia quasi incontrastato da anni. E lo ha visto intonare senza sbagliare una parola il Canto degl’Italiani (Inno di Mameli per gli amici), una composizione musicale in si bemolle maggiore che forse non sarà un esempio di fulgore musicale, e sarà pure stucchevolmente ridicola per l’insulsaggine retorica dei versi, ma che, pure, rappresenta l’Italia.
E adesso? Adesso, a trionfo conseguito, che cosa dirà il quotidiano sportivo di maggiore spicco nel nostro paese dopo avere ospitato il delirio di qualcuno che, forse, si era avvicinato allo sport nella disciplina del rubamazzo (disciplina, poi, abbandonata per la difficoltà di comprenderne le regole) e che, sempre forse, era rimasto alle dottrine delle più becere tra le camicie nere di un tempo?
A margine, mi permetto di ricordare al direttore della Gazzetta dello Sport che le varie squadre nazionali italiane annoverano da sempre, e senza fare una piega, atleti palesemente non italiani. E aggiungo, restando al tennis, che Nicola Pietrangeli, non solo grande tennista del passato, ma capitano della squadra che nel 1976 portò in Italia la sullodata Coppa Davis, era tunisino di nascita, figlio di un tunisino di nascita e di una mamma per metà russa e per metà danese. Sempre tra parentesi, Orlando Sirola, il suo leggendario compagno di doppio, era croato.
La domanda è: “Perché ce l’avete con Jannik Sinner?”
Chissà se l’autore del pistolotto stampato in rosa ha sentito l’intervista post-gara del ragazzo. Se non l’ha fatto, ne ascolti la registrazione e, forse, a neuroni collegati per l'occasione, si accorgerà di quanto ha da imparare.
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