In una qualunque competizione, sportiva, elettorale o altro che sia, la regola prescrive che tutti i concorrenti siano posti sullo stesso piano.
Di solito, però, la cruda realtà vuole che l’arbitro abbia qualche “simpatia” per qualcuno dei contendenti e, dunque, qualche “antipatia” per qualcun altro. Questo a maggior ragione se l’“antipatico” mette a rischio l’esito desiderato.
Così, la gara si gioca su un terreno truccato.
Alla maniera di Oscar Wilde (“I can resist anything but temptation”, che, tradotto, suona “so resistere a tutto tranne che alla tentazione”), i mezzi di cosiddetta informazione, tentati dal regime che nel solo 2020 aveva stanziato una cinquantina di milioni (art. 195) per le emittenti locali disposte ad offrire una rappresentazione “diversamente onesta” dei fatti, ecco che diventa difficile, spesso illusorio, competere secondo il fair play.
E, allora, si allestiscono trasmissioni televisive mascherate da interviste in cui il tempo a disposizione dell’“antipatico” è rigorosamente limitato, ma, per sicurezza, glie lo si riduce ulteriormente per mezzo di domande verbose da parte dell’intervistatore il quale, poi, esprime le proprie altrettanto verbose, opinioni.
Chiunque abbia qualche nozione di giornalismo (io studiai qualcosa a Londra oltre mezzo secolo fa) sa che le interviste sono altra cosa, e, soprattutto, sa che l’intervistatore non può esprimere la propria opinione che, in quel contesto, non ha il minimo interesse.
Quando ambedue esternano le proprie idee, non d’intervista, ma di dibattito si tratta.
Comunque, sempre per evitare problemi, l’intervistatore non dà modo all’intervistato di rispondere compiutamente, interrompendolo con altre domande.
Poi ci sono i cosiddetti confronti, eventi televisivi in cui l’“antipatico” e il “simpatico” sono messi a confronto.
Come si può constatare, sempre che l’occhio non sia difettoso, il “simpatico” spara qualunque assurdità, senza che sia di fatto possibile sbugiardarlo.
Un amico mi ha mandato la registrazione di una di quelle tenzoni fasulle in cui un personaggio del PD affermava che il suo schieramento sostiene i lavoratori e gl’imprenditori. Eppure, basterebbe rivedere ciò che quel partito camaleontico ha combinato nell’ultimo paio d’anni, mettendo al tappeto l’economia e alla fame, o, comunque, ad un robusto appetito, milioni di persone con il pretesto di una “pandemia” che l’aspirina avrebbe tenuto tranquillamente sotto controllo (vedi https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(21)01825-0/fulltext) . Se, poi, si volesse, si potrebbe indagare sulla sua “simpatia” per l’Ucraina, una simpatia costosissima per noi italiani, tra l’altro destinati ad una dieta ferrea e ad un inverno bello fresco, visto che dobbiamo riservare il poco denaro che ci è stato lasciato all’acquisto di bombe e armamenti vari. Chi vuole divertirsi, legga l’art. 11 di quella che fu la nostra Costituzione (“L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali...”).
Bene: il confronto si rivelò di fatto impossibile, con l’“antipatico” tacitato dopo poche parole, e con inquadrature suggestive del “simpatico” che assumeva espressioni beffarde. L’espediente è quello di certi telefilm comici nel corso dei quali si mandano in onda risate registrate di un pubblico che è sì inesistente ma che trascina con l’esempio lo spettatore.
Per quanto mi riguarda, io ci sono già caduto più di una volta, e non ci casco più.
Un vecchio aforisma inglese recita: “"Fool me once, shame on you, fool me twice, shame on me." In italiano: “Se mi freghi una volta devi vergognarti tu, ma se mi freghi due volte devo vergognarmi io.”
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