Temo che dovrò rassegnarmi a riconoscere di aver buttato via la mia vita. Un liceo più che buono, studi universitari con almeno alcuni degl’insegnanti di ottimo livello, soggiorni estivi presso università straniere, studi postuniversitari condotti in centri di eccellenza assoluta e, dulcis (?) in fundo, decenni di ricerca con risultati che mi parevano tutto fuorché disprezzabili.
Ergendomi faticosamente a giudice della mia vita e rinunciando al privilegio di non pochi giudici di essere anche smaccatamente parziale, riconosco ciò che ho affermato all’esordio: come diceva il grande Gino Bartali, “è tutto sbagliato, è tutto da rifare.”
Al liceo m’insegnarono che la legge cominciò ad essere scritta, e scritta in modo inequivocabile, per impedire interpretazioni di comodo. M’insegnarono che la caratteristica inderogabile della legge è di essere giusta nei riguardi di chiunque. M’insegnarono che il concetto di costituzione è equivalente alla serie di garanzie che il governante presta al governato e, come tutte le garanzie, non possono esistere alterazioni.
All’università m’insegnarono la chimica, la fisica, la fisiologia e la farmacologia secondo quanto costituisce l’obiettività.
L’incontro con scienziati di prima grandezza e, a volte, il privilegio di lavorare con loro, m’insegnò che la scienza si regge su pilastri indiscutibili, l’obiettività e il confronto in primis, alla ricerca incondizionata della verità, un obiettivo che, magari, può essere irraggiungibile ma che deve essere l’asintoto al quale tendere.
Da uomo della strada ora sfoglio le raccolte delle leggi di cui è legalmente vietata l’ignoranza e ci capisco davvero poco. Sperando di fare chiarezza, interrogo amici avvocati e qualche raro magistrato, e ottengo risposte quanto mai distanti tra loro e perfino discordanti in modo sconcertante. Ascolto le esternazioni di personaggi rappresentati come costituzionalisti e raccolgo concetti che definire stravaganti è un atto di umana misericordia nei confronti di chi li partorisce. Leggo sentenze che mi atterriscono. Rarissimamente accendo la radio o la TV e, per i pochi minuti durante i quali reggo, assisto ad esibizioni che, se non avessero le conseguenze tragiche delle quali subiamo tutti, non di rado entusiasticamente, le conseguenze, sarebbero comiche.
Ieri mi è capitato di assistere per un paio di minuti ad un servizio televisivo nel quale il presidente della repubblica italiana inaugurava un anno accademico, sostenendo che nove italiani su dieci si schierano “dalla parte della scienza.” Dati i tempi che corrono, il tema era quello dei prodotti chiamati abusivamente vaccini e spacciati altrettanto abusivamente per il risultato di ricerche scientifiche. Scrivo questo solo perché ho studiato.
Ora, fatta salva la fedeltà all’imperatore, per prendere a prestito un’espressione medievale, ammetto la mia, magari oziosa, curiosità di conoscere il grado di cultura scientifica ed epistemologica del presidente della repubblica della cui buona fede non dubito. Se, poi, non chiedo troppo, ambirei ad un incontro con gli “scienziati” tirati costantemente in ballo senza che questi abbiano mai dimostrato il loro diritto ad essere catalogati come tali. Naturalmente l’incontro dovrebbe essere condotto secondo le regole della scienza, con tanto di divieto di deragliamenti eristici, senza alcun limite di censura e senza il pericolo di subire ritorsioni. E, altrettanto naturalmente, ognuno dei partecipanti dovrebbe disporre di pari opportunità e dovrebbe presentare dati propri senza cadere nell’ipse dixit non solo condannato dalla scienza, dalla ragione e dalla morale ma francamente ridicolo e prova inoppugnabile di manifesta inferiorità.
Nessuno dubiti: mi rendo perfettamente conto che sto perdendo tempo, in coerenza con quanto ho fatto per tutta la vita.
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