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Don Chisciotte 2024

il blog di stefano Jul 02, 2024

Le possibilità di arrivare al fallimento, di qualunque impresa si tratti, sono innumerevoli. Una di queste è essere fuori del tempo, e una è porsi in contrasto con chi comanda. Non è raro che i due addendi facciano coppia e diventino fattori di moltiplicazione.

Don Chisciotte aveva sbagliato secolo, e s’illudeva di vivere ancora il tempo della cavalleria. Noi siamo una specie di Don Chisciotte al rovescio: siamo troppo avanti. Questo sia detto senza nessuna sfumatura di vanto ma, anzi, per sottolineare la nostra inadeguatezza. Gl’inglesi direbbero che siamo un piolo quadrato in un buco rotondo.

Tantissime nostre scoperte, tutte fastidiose, risalenti a oltre un quarto di secolo fa si stanno rivelando ineccepibili. Altre sono in attesa di accettazione universale, ma io non ho dubbi su di loro. Basti solo ritornare a qualcosa di relativamente recente, di fatto a poco più di quattro anni fa, quando azzeccammo tutte, ma proprio tutte, le previsioni relativamente alla cosiddetta pandemia e ai pastrocchi chiamati grottescamente vaccini. Se i neuroni di miliardi di esemplari di Homo sapiens fossero stati collegati, sarebbe finito tutto senza danni e con una risata. I fatti testimoniano che non fu e che non è così.

Credo sia sufficientemente noto che – oggi mi accorgo essere stata cosa folle – abbiamo regalato tutto quanto avevamo ad una fondazione (Fondazione Nanodiagnostics) perché, privati dei mezzi di sostentamento, arrivasse qualche sponsor che ci permettesse di continuare a fare ricerca e di aiutare le tante persone che ci chiedono aiuto e che non fanno caso a quanto quell’aiuto costi nei termini volgari del denaro.

Dopotutto, anche le bocciofile (peraltro, circoli meritori) hanno chi le sostiene.

Ad oggi, non solo nessuno si è fatto avanti, ma, contattati alcuni multimilionari, abbiamo ricevuto due tipi di reazione. Molti, in maggioranza, hanno semplicemente ignorato il messaggio, e alcuni, invece, si sono presi il disturbo di rispondere. C’è chi ha detto che già sponsorizza altro (es. squadre di calcio o altri sport) e chi, invece, ha detto che la ricerca non è argomento che interessi.

Fatto salvo il principio intoccabile secondo cui ognuno ha il diritto inalienabile di disporre come più gli aggrada delle proprie ricchezze, io mi permetto di fare qualche constatazione, magari sulla falsariga di Giulio Andreotti che sosteneva come a pensar male si faccia peccato, ma spesso ci si azzecchi.

Prendiamo, per comodità di esposizione, due argomenti di cui ci occupiamo da anni, peraltro conseguendo l’acquisizione di conoscenze importanti: il cancro e l’autismo.

Giusto per stimolare un argomento di meditazione, prendiamo il fenomeno delle cosiddette “maratone televisive”: manifestazioni nel corso delle quali si raccolgono denari per cifre ingenti. Considerando, poi, che la cosa ha un trentennio di storia, è quanto meno probabile che il denaro raccolto raggiunga un ammontare miliardario. A questo punto, mi pare lecito aspettarsi risultati in proporzione a quanto reso disponibile. Invece… Certo, in tutti questi anni si sono pagati innumerevoli stipendi che hanno mantenuto tante famiglie, e si è pure allietata la vita di qualcuno come, ad esempio, chi ha impiegato una fettina di tutto quel ben di Dio per andarsene in luoghi ameni dove organizzare incontri “scientifici”. Forse non possiamo asserire che non ci siano stati risultati. Semplicemente, i risultati non hanno avuto a che fare con il bersaglio dichiarato.

Quanto all’autismo, è sotto gli occhi di tutti il fatto che la patologia è in una fase di crescita rapida e, apparentemente, inarrestabile. Anche qui, allora, sono sorte chissà quante iniziative mirate a risolvere il problema. Risolvere? Beh, non proprio.

Se il cancro è una cornucopia inesauribile, l’autismo, pure in proporzioni più ridotte, non è da meno.

Che cosa si fa, allora? Si costituiscono associazioni e imprese che si occupano di chi è colpito da quella varietà di malattie raggruppata genericamente sotto il nome di autismo, e ci se ne prende cura.

Come? L’approccio più comune è quello di ospitare per qualche ora i bambini autistici (uso l’aggettivo per semplicità), e dare un po’ di respiro alle famiglie. Splendido! Un gradino sopra (ma costa di più!) è addestrare i bambini con le modalità usate per gli animali da esibizione: si insegna a reagire agli accadimenti comuni in modo da disturbare il meno possibile la società e, magari, a non imbarazzare troppo le famiglie. Splendido! Poi, ancora, ci sono i dispensatori di farmaci. E su questo preferisco non commentare.

Il fatto, però, è che non si va alla radice del problema, vale a dire alla causa dell’autismo (aut similia), e il perché si spiega facilmente: la giostra rallenterebbe e – Dio ce ne guardi! – se si andasse troppo oltre, rischierebbe di fermarsi. Si aggiunga a questo l’esistenza di argomenti tabù che non possono essere toccati.

È così che il cancro e l’autismo resteranno il più a lungo possibile fra le fonti di reddito da una parte e la soddisfazione dei benefattori conviti di fare un’opera meritoria.

Mi si perdonerà se rifiuto l’ipocrisia, ma quei benefattori fanno tanto male, perché, di fatto, uccidono tutto quanto rischia (ho usato il verbo rischiare di proposito) di mandare a catafascio un business quanto mai fiorente e promettente. Insomma, fare quello che facciamo noi “non è cosa”, come si dice al Sud.

Aggiungo che, come ci è stato detto apertamente, aiutare noi, cioè la ricerca, è pericoloso. Già: aiutare noi significa mettersi contro un sistema ricco e oliato che permette a qualcuno di vivere nel lusso e nella gratitudine universale.

Vulgus vult decipi. Ergo, decipiatur.

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