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Il testamento dell'agnello

il blog di stefano Dec 19, 2021

Molto di quanto è essenziale che io sappia per essere un uomo me lo insegnò mia madre: parole, poche; fatti, solo fatti e nient’altro. Uno dei pilastri del comportamento, almeno secondo quanto mi è stato infilato in testa, è il perdono: non un atteggiamento di facciata, ma qualcosa che ormai sgorga in modo naturale da quello che chi non conosce l’anatomia chiama cuore. Non un merito: solo un modo involontario di essere.

Se l’istinto, forse l’impulso, a perdonare ce l’ho dentro, e questo serve soprattutto a me perché mi fa vivere in pace con me stesso, da un po’ di tempo m’interrogo su quali siano i confini entro cui posso permettermi di giostrare. Io posso perdonare chi mi ha fatto del male. Di questo ho il diritto. Lo posso fare anche se chi mi ha offeso non se ne pente, semplicemente perché si tratta di fatti miei. Ma quando i fatti non sono più miei? Insomma, posso io perdonare qualcuno che ha offeso qualcun altro che non sia io?

Stamattina la domanda mi ha aggredito di nuovo, e lo ha fatto con una violenza insolita.

L’origine è il testo di un messaggio lasciato da un bambino di sette anni ai genitori. Questo seme di umanità ha scritto in stampatello “IN CASO CHE DOVREI MORIRE VI LASCIO UN CUORE”, con tanto di “dovrei”, e ha lasciato il biglietto ai genitori come una sorta di testamento: un documento traboccante di terrore e con una dichiarazione d’amore che soverchia la paura.

Ma perché quel bambino di sette anni dovrebbe morire? Banalmente perché altro non è se non uno dei milioni di bersagli di una malvagità che non ha uguali nella storia di questo ormai ignobile pianeta. Il bambino ha la tosse. I genitori, sulla cui cultura sanitaria non mi esprimo, ma ai quali devo tutta la mia comprensione, lo hanno sottoposto al “tampone”. Risultato: negativo. Dunque, non si tratta di quel morbo devastante che negli adulti comporta una mortalità ufficiale dello 0,2% e nei bambini dello 0%. Ma che importa? Il piccolo è stato dovutamente terrorizzato da chi, come uno scassinatore mascherato, ha accesso alla sua mente e al suo cuore, e, dunque, “sa” di essere un possibile candidato alla morte.

Mi rendo conto, per quanto mi riguarda, che l’emotività ha preso il sopravvento, e forse non sono sereno, se mai si possa essere “sereni” davanti a crimini di questa portata, crimini che un tempo avremmo definito disumani, e che oggi sono oggetto di religiosa adorazione. Ma, prescindendo da ogni altra considerazione, posso io perdonare chi ha massacrato non  me ma quel bambino? Chi lo ha ferito facendolo soffrire e mutilandolo del suo diritto a diventare un uomo libero, dove l’aggettivo libero non dovrebbe neppure essere menzionato perché la libertà fa parte integrante e ineludibile dell’essere uomo, in mancanza della quale non si è altro che animali da reddito a disposizione del padrone. Posso io permettermi di perdonare, o farlo è un atto di facile e untuosa ipocrisia?

Se fossi cristiano credente, direi che quel bambino è un agnello sacrificale che rappresenta tutti i bambini del mondo, una specie di agnus Dei su cui, paradossalmente e in modo aberrante, sono caricati i peggiori peccati dei suoi aguzzini. Se fossi cristiano credente, mi domanderei quale potrà essere il destino delle anime di quei carnefici immersi nell’abisso estremo dell’empietà. Ma sono io, e io non posso altro che implorare quel giudice di cui ignoro l’esistenza stessa di avere pietà di loro, forse lasciando da parte la giustizia che, chissà, magari pretenderebbe altro. Aggiungo pure, se quel giudice esiste, se ha le caratteristiche correntemente attribuitegli, e se mi ascolta, di convertire quei peccatori scellerati. Questo non solo per il mondo intero ma anche per loro stessi.

Ora basta, però, perché con gli occhi pieni di lacrime si scrive male.

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