A me, calciatore scadente, il calcio è sempre piaciuto, e per tanti anni ho frequentato gli stadi. Ora, da molto tempo e in modo crescente, il calcio mi piace sempre meno e allo stadio non metto piede. Troppi interessi di quattrini in quantità tanto esecrabili da essere offensive, violenza delirante da parte dei “tifosi”, simulazioni grottesche messe in scena da giovanotti grandi e grossi trasformati in piagnucolose signorine delicate e cagionevoli di salute... A questo si aggiunge un ingrediente di cui, apparentemente, non riusciamo a fare a meno: l’idiozia del popol bue.
Viaggiando in automobile con la radio accesa, in questi giorni non ho potuto evitare di essere “informato” (virgolette) dell’episodio di cui sono stati protagonisti tale Francesco Acerbi (Internazionale FC) e tale Juan Guilherme Nunes Jesus (SS Napoli). La notiziona ripetuta allo sfinimento era che, nel corso della partita che ha visto le due squadre affrontarsi, il primo avrebbe appellato come “negro” il secondo.
Ora, per quanto mi riguarda, io non vedo perché mai l’aggettivo sostantivabile negro dovrebbe costituire un’offesa. Questa percezione prevede inevitabilmente il fatto universalmente accettato dai bovini di cui sopra che il possedere un certo colore della pelle rappresenti necessariamente una vergogna, così come è vergognoso essere ciechi (nel salotto degl’idioti, “non vedenti”) o sordi (educatamente “non udenti”). Ma nella nuova società, quella dei sessi su base volontaria, quella di “genitore uno” e “genitore due”, ci può stare tutto.
A parte ciò, reso pubblico il battibecco tra i due agonisti, per irrilevante che sia, ecco che si è scatenato quello che ormai è la norma: il processo in cortile. Ogni idiota si è trasformato in giudice e, immediatamente, se la sentenza è stata di condanna per chi avrebbe lanciato l’“offesa”, in carnefice. In contemporanea, il tribunale opposto ha emesso la sua inappellabile sentenza di condanna per l’“offeso”, definendolo un mitomane.
A differenza di quanto accade con la “giustizia” ordinaria, non in tempi geologici ma in pochi giorni il giudice sportivo ha stabilito che, in mancanza di un referto arbitrale e di testimoni, non è possibile condannare nessuno. Il che, con buona pace degl’imbecilli che si strappano le vesti per essersi visti privati dello spettacolo garantito dalla crocifissione, mi pare ineccepibile: la parola di uno contro quella dell’altro, senza uno straccio di documento. Su questi presupposti solo un forcaiolo potrebbe sentenziare, e io per i forcaioli non provo simpatia.
Per quanto mi riguarda, di queste manifestazioni io so più di qualcosa. Da anni gl’imbecilli da cortile, a partire da azzeccagarbugli in cerca di clienti, per continuare con “giornalisti” d’accatto, associazioni su cui la decenza mi vieta di apporre aggettivi, truffatori di professione con un seguito entusiasta di chi poi sarà truffato, e gonzi assortiti mi accusano di qualunque reato passi loro per la mente (mente?) o sia stato suggerito da chi “la sa lunga.” Passano gli anni, io sono massacrato dal popolino, e poi... E poi, quando, alla fine, si va davanti al giudice (sempre che il tutto non venga archiviato per palese idiozia) si deve constatare che il fatto non sussiste o che, se mai sussistesse, è perfettamente lecito.
Tutto è bene quel che finisce bene? Non proprio. Prescindendo dagli anni trascorsi nel fango, immaginate di essere investiti mentre attraversate la strada sulle strisce pedonali con il semaforo verde. Da allora non camminate più, ma avevate ragione voi!
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