Fu di certo una serie di spettacoli entusiasmanti.
Allora si chiamò, almeno per qualche tempo, Place de la Révolution prima di essere ribattezzata, magari con un filo d’ipocrisia, Place de la Concorde.
In un paio d’anni, nel periodo del cosiddetto Terrore, in quella piazza 1.119 teste caddero nel cestino piazzato sotto la ghigliottina accompagnate dal giubilo di migliaia di persone “comme il faut” che pazientavano ore, accalcandosi per godere dello spettacolo.
Tra quelle teste cadde pure quella di Antoine Lavoisier.
Del resto, secoli prima, i circhi romani offrivano spettacoli ancora migliori e, comunque, le torture pubbliche e le esecuzioni hanno sempre riscosso grande successo di pubblico. Colpevoli o innocenti non aveva importanza: il mostro doveva esistere e lo si doveva punire come “meritava”.
Per fortuna, oggi quella barbarie fa parte del passato. Oggi siamo razionali, siamo giusti... O no?
In fondo, da che l’Homo sapiens illumina il Pianeta poco o nulla è cambiato: il gusto del mostro rimane indelebile. E se il mostro non c’è? Niente paura: lo si crea.
Nel mio piccolo, il mostro io l’ho impersonato ripetutamente con accuse che, in altri tempi, mi avrebbero portato a salire i gradini di Place de la Révolution. Tra gli esempi, e non sono pochi, quello di aver osato scrivere che una macchietta gonfia d’aria come il rospo di Fedro e travestita da scienziato non conosce la chimica, la fisica e la matematica. Oppure quello di essermi macchiato di un crimine restato misterioso, denunciato da una specie di circolo del tressette bizzarramente autoinvestitosi della difesa della scienza, di fatto una manifestazione a loro sconosciuta dell’intelletto umano. In ogni caso il tutto si è regolarmente risolto con una risata del giudice e con le denunce finite nella carta straccia (spero quella da riciclare), ma ciò non toglie che ancora oggi, a distanza di anni, l’osteria planetaria di Internet contenga le accuse che, agli occhi del popolo, equivalgono a condanne.
Per quanto mi riguarda, nessun problema. I miei accusatori sono tradizionalmente delle grottesche nullità e come tali meritano di essere considerati. L’unico problema è la scocciatura, di tanto in tanto, di essere convocato dai carabinieri per essere identificato prima dell’archiviazione di rito.
Ma per qualcuno non è così.
Se tra chi mi legge c’è chi s’interessa di calcio e, magari non più giovanissimo, si ricorda di Beppe Signori, forse sa che l’ex giocatore, oggi più che cinquantenne, è stato coinvolto in una vicenda vergognosa.
Non solo famoso, ma ottimo calciatore della Nazionale e pure corretto, era il mostro ideale: quello che stuzzica la bulimia dei falliti. E in mostro lo si trasformò golosamente, incolpandolo di aver truccato tre partite: una a Piacenza e due a Modena. Arresti domiciliari e, senza por tempo in mezzo, squalifica sportiva con infamia.
Fu un calvario durato dieci anni. Beppe avrebbe potuto godere della prescrizione, ma lui non accettò la scappatoia: voleva essere processato perché era innocente e basta. Certo, un rischio, perché mica sempre le cose vanno secondo giustizia. Ma lui fu irremovibile.
Un lungo inferno. Poi, il tribunale di Piacenza lo assolve perché il fatto non sussiste. Poco dopo il tribunale di Modena emette identica sentenza. Insomma, non solo Beppe era innocente, ma il fatto non era neppure esistito.
Io non ho competenza legale, ma, da uomo della strada, mi sembra mostruoso che chi ha costruito un’accusa così palesemente infondata non paghi per il crimine che ha commesso.
Chi ridarà a Beppe i dieci anni che gli sono stati rubati?
Ora resta la cosiddetta “giustizia sportiva”, spesso più bacchettona di quella ordinaria. Sbaglierò, ma sono convinto che chi lo ha squalificato debba riparare e scusarsi adeguatamente.
Qualcosa si può fare. Da uomo, prego tutti coloro che sono arrivati fino qui a leggermi augurandomi che non equivochino il fatto reputandolo roba da tifosi di calcio. E a loro chiedo di firmare la petizione change.org/beppesignori
Glie lo dobbiamo perché girarsi dall’altra parte significa essere i figli di Place de la Révolution.
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