In che cosa consista la giustizia non saprei dire e, con me, temo che la totalità dei filosofi, messi alle strette, non saprebbe rispondere se non in modo opinabile.
“Quod principi placuit, legis habet vigorem” è il brocardo che si trova tra i cinquanta libri del Digesta. Insomma, la legge è ciò che fa comodo a chi comanda, e la giustizia è, almeno in linea teorica, fondata sulla legge. E, se la legge è dichiaratamente il capriccio del momento, dobbiamo rassegnarci: noi, i cosiddetti “uomini della strada”, oggi più precisamente definiti come “bestiame da reddito”, non abbiamo alcuna voce in capitolo. “Credere, obbedire, combattere” si strepitava qualche decennio fa, e, allora, l’incitamento a farlo si reggeva sul suo essere per la patria, comunque s’intendesse il termine. Oggi si fa esattamente la stessa cosa, e la patria cui ci si riferisce è qualcosa che, per il momento, è introvabile in qualunque vocabolario. Ma la mancanza verrà di certo colmata. Del resto, anche la farmacologia è stata ridefinita in ossequio al lume della giustizia liberata da polverose ragnatele.
Certe decisioni recentissime sono la messa in pratica del nuovo concetto e, in un certo senso, dobbiamo ammettere che molto dell’ipocrisia che ha connotato la storia umana è stato sostituito da quello che è la realtà dei fatti. In fondo, oggi godiamo dell’onestà da Marchese del Grillo di chi comanda: ce lo dicono senza nascondersi.
In tema di giustizia lo sport è maestro, e la tecnologia viene in soccorso a chi quella giustizia è chiamato ad amministrare: l’arbitro. Ecco, allora, che in alcune tenzoni s’introduce un sistema di osservazione obiettivo di episodi di gioco che potrebbero destare dubbi: nel calcio è il cosiddetto VAR, cioè il Video Assistant Referee. Insomma, un occhio gelido e imparziale divide il bene dal male.
Visto il successo, quell’oggettività non poteva andare sprecata, ed è così che i gestori di quelli che, con un termine inglese che potrebbe apparire fuori luogo sia per applicazione sia per pronuncia adottata vengono chiamati “social”, se ne servono. Qui, secondo regole che ben si armonizzano con il brocardo latino di cui sopra, vigono censure e punizioni non appena l’occasionale Big Brother decide più o meno automaticamente d’impallinare qualcuno.
Ecco, allora, che il VAR scatta per la messa. Sì: la messa. Chi non sapeva che anche per la messa cattolica (di altri riti non sono al corrente, ma non li posso escludere) possa esistere il fuori gioco, eccolo servito: https://www.open.online/2022/12/06/qatar-2022-genova-messa-bloccata-facebook-diritti-tv/
Il reo, tale don Paolo Marré Brunenghi, dicendo messa ha violato niente di meno che i diritti della FIFA, la Fédération Internationale de Football Association che dal 1904 regge le sorti degli sport legati al calcio.
Ammetto di non aver capito in che cosa consista l’infrazione, ma deve trattarsi di qualcosa di veramente grave. Anzi, gravissimo. E, dopotutto, chi sono io per capire quando ho chi se ne assume l’onere per me?
Per quanto mi riguarda, io a messa non ci vado e, invece, quando ho tempo una partita di calcio la guardo volentieri. Dunque, bene così: siano bandite le cerimonie religiose e siano garantiti i sacrosanti diritti di chi tanto si sacrifica per allietare il popolo.
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